Uno sguardo veloce al contesto: Netflix annuncia “Cleopatra”, interpretata dall’attrice di colore Adele James; Disney annuncia il live action “La Sirenetta”, interpretata dall’attrice di colore Halle Bailey. Poco più di 15 anni fa, tutto ciò non avrebbe sortito le stesse reazioni. Sebbene sia già presente da parecchio (da sempre) una reinterpretazione, con varianti sessuali ed etniche, di opere di alto gradimento, è solo da quest’ultimo decennio che si può avvertire il fervore del dibattito mondiale. Le motivazioni? Andiamo con ordine. 25 maggio 2020, nel pieno dell’emergenza sanitaria mondiale Covid 19, George Floyd viene arrestato in strada, a Minneapolis, e tenuto a terra con il collo premuto dall’agente Derek Chauvin. Dopo diversi solleciti all’agente di allentare la presa, tra i quali la frase divenuta poi icona dell’intero movimento “I can breathe”, Floyd perde i sensi, per poi morire in ospedale qualche ora più tardi. Da quest’episodio, che ha commosso il mondo intero, sfociarono migliaia di proteste, susseguitesi per i successivi tre mesi. Tutti uniti nel nascente movimento Black Lives Matter, al quale, non solo la comunità afro, ma anche bianchi americani, europei e paesi orientali mostrarono appoggio e solidarietà. Ricordiamo l’episodio, non perché in esso riconosciamo l’inizio del Black Washing hollywoodiano, il quale già fortemente presente dal 2017, ma perché ciò che è accaduto quel pomeriggio di maggio, ancora brucia nel cuore del popolo americano, perchè c’è ancora chi crede sia stato giusto e, soprattutto, c’è ancora chi non vuol capire.
Appena cinque anni prima, il sistema di daily scandalous volgeva il suo sguardo verso Harvey Weinstein, accusato di molteplici molestie e violenze sessuali ai danni di diverse aspiranti attrici e operatrici dello spettacolo. Al suo caso si affiancarono accuse verso numerosi esponenti del cinema internazionale, quali Kevin Spacey, Bill Cosby (anni prima), Mike Tyson, Roman Polanski, Fausto Brizzi, Johnny Deep. Quest’ultimo implicato in un lungo periodo di processi, poiché accusato e poi accusante di violenze e diffamazione dell’ex moglie Amber Heard, una delle paladine del movimento scaturito dal caso Weinstein “Mee Too”. Ancora una volta, ribadiamo il nostro non voler associare un periodo di soli 7 anni, all’attuale rivoluzione mediatica a favore delle minoranze. Anche perché, a ciò dovremmo aggiungere casi di violenza in Europa ai danni di coppie omosessuali o della ridicolizzazione di disturbi o disabilità in diversi video circolati via web e in specifici contesti lavorativi. Insomma, di carne a cuocere ce n’è in abbondanza. Il problema, che molti dimenticano, però, è che tutto ciò non solo ha avuto inizio almeno quattro generazioni fa, ma che, nonostante tutto, non è cambiato nulla.
Arriviamo al dunque, Cleopatra e la sirenetta è giusto rappresentarle nere? Non è ingiusto, nel modo più assoluto, ma non è neanche una grande idea. Anzi…
Le motivazioni sono diverse e neanche riconducibili ad entrambi i casi. Volendo estrapolare il succo di un discorso troppo articolato, possiamo distinguerne almeno due più importanti. La prima è che ciò sia palesemente una mossa politica, che poco ha a che fare con la scelta artistica. Possiamo ascoltare pareri di registi e produttori, che ovviamente parleranno di scelta dettata dal talento attoriale della ragazza (che non si discute), ma che di certo poco possono avvalorare la tesi “l’etnia non è una scelta di marketing”. Per cui, avendo inquadrato la natura di tali scelte, possiamo anche riflettere su quanto ci sia di sbagliato nel rendere arte e intrattenimento strumenti politici. Nulla di nuovo e cosa già vista, sicuramente, basti pensare alla cinematografia pre e post bellica, a quella est europea o di radice radicale ambilaterale. Insomma, c’è sempre stata e, se non per denuncia, non è mai stata vista di buon occhio in quanto propaganda. In questo caso specifico, Cleopatra di colore è una provocazione ad un’utenza sbagliata. Ciò ne consegue, non solo un falso storico, ma anche una poca credibilità del prodotto e un voler banalizzare un movimento dai principi sacrosanti come il Black lives matter.
Il secondo motivo è che non deve essere il cinema (solo) a farsi carico del cambiamento. la natura politica e sociale, di una realtà ben lontana dall’accettare il diverso, è in continuo movimento e pian piano si espande tra una popolazione sempre più confusa e lasciata in balia degli eventi. Semplifichiamo il concetto. In un periodo di incertezza ideologica, uno strappo repentino, erroneamente considerato indolore, al cerotto di indifferenza e razzismo, per anni ben adagiato sulla nostra pelle, non ha sortito l’effetto voluto. Siamo chiari, queste scelte hanno fatto arrabbiare anche chi razzista, omofobo e intollerante non lo è mai stato. Questo perché, tornando al discorso iniziale, se non sono politica e giustizia a farsi garanti dell’incolumità e dei valori di tali minoranze, il cinema non può farlo gridando al vuoto, costruendo castelli con i LEGO. per poi vederli crollare su fondamenta inesistenti. Spoiler: la politica non sta facendo nulla. Quindi, tornando agli esempi presi in considerazione all’inizio, ci avviamo a concludere con ancora più dilemmi, ma con una piccola base per l’accettazione di ambo le facce della medaglia. Queste produzioni americane fanno così, perché lì ce n’è veramente bisogno, ma non si rendono conto che non stanno mettendo le basi per nulla, se non per far si che questo periodo storico venga ricordato come quello della “censura a fin di bene”. In entrambe le visioni si è nel giusto. Non possiamo riconoscere verità assoluta una delle parti, ma possiamo appurare ciò che è scritto nel titolo: non parliamo di arte e intrattenimento, Cleopatra e la sirenetta sono manifesti politici.