I ricercatori del Centro di Micro-biorobotica dell’Istituto italiano di Tecnologia (IIT), che ha sede a Pontedera (Pisa), hanno creato, nel 2019, i primi prototipi di pianta robot: un plantoide una pianta robot rampicante.
I ricercatori dell’IIT coordinati dalla scienziata toscana Barbara Mazzolai hanno avuto diverse difficoltà a convincere la Commissione Europea a finanziare il loro progetto: i primi due tentativi erano andati a vuoto. “All’inizio c’era un po’ di diffidenza”, ricorda Mazzolai: “non era facile ottenere finanziamenti per robot apparentemente immobili, non se ne vedeva l’utilità”. Poi la svolta, con un finanziamento, tra il 2012 e il 2015, da due milioni di euro per il progetto Plantoid. Una cifra non enorme, comunque sufficiente per ottenere il primo robot al mondo che cresce e si comporta come una pianta.I primi plantoidi sviluppati dal centro dell’IIT crescono nel suolo e le “radici” sono l’unica parte che si muove – nella terra – per cercare nutrienti e acqua o per evitare sostanze tossiche. La ricercatrice ha spiegato: “Sappiamo che i vegetali sono in grado di percepire molti parametri, tra i quali azoto, fosforo, luce, salinità, metalli pesanti, persino la gravità e le vibrazioni … e ci siamo chiesti come trasferire queste capacità alla macchina”.Il plantoide ha nell’estremità il proprio “cervello”: qui si trovano i sensori (chimici, tattili, di umidità e temperatura) e una stampante 3D miniaturizzata. “È come un motore che tira un filo, man mano che il robot cresce e si sviluppa in profondità la matassa si dipana” spiega Mazzolai. Il filo di PLA (acido polilattico) dunque si allunga e consente alla radice artificiale di crescere. Ecco perché il team dell’IIT definisce il plantoide un “self-creating robot”: è la macchina a decidere, in base alle informazioni fornite dai sensori, quanto e in quale direzione svilupparsi, e ad azionare la stampante 3D quando ha bisogno di nuovo “tessuto”, srotolando la matassa.I plantoidi prodotti all’IIT di Pontedera possono, in teoria, già svolgere una funzione pratica: le analisi ambientali e chimiche del suolo: “è un tipo di analisi molto costosa, per questo oggi viene fatta a campione”, continua la coordinatrice del centro di micro-biorobotica. Le piante-robot sono in grado di fornire dati precisi e in tempo reale, a seconda delle sostanze che viene chiesto loro di cercare. Possono essere usate per andare a caccia di radon, metalli pesanti in un terreno inquinato, oppure per analizzare la composizione chimica del suolo e fornire alle aziende agricole un report completo su quali concimi servono e in quali dosi, evitando di stipare nel terreno dosi eccessive di fertilizzante.Se il plantoide (presentato al Festival internazionale della robotica lo scorso 2018) è stato creato per imitare le radici delle piante ed espandersi in profondità, per le analisi del suolo, un nuovo progetto presentato alla Commissione Europea, ha puntato invece a produrre plantoidi che imitino i rampicanti. Questi vegetali crescono soprattutto verso l’alto e hanno un’innata capacità di trovare sempre una via, superando ogni ostacolo alla continua ricerca di luce. Un robot di questo tipo, se dotato di un sensore a infrarossi, potrebbe salvare persone sepolte da strutture ridotte in macerie o, come descritto sulla rivista Nature Communications, potrebbe aprire la strada a una futura generazione di dispositivi indossabili e in grado di cambiare forma.La ricerca, cui hanno partecipato il tecnologo dei materiali Edoardo Sinibaldi e l’ingegnere aerospaziale Indrek Must, si è ispirata ai meccanismi naturali con cui le piante sfruttano il trasporto dell’acqua al loro interno per muoversi, chiamato ‘osmosi’, ossia la presenza di particelle presenti nel liquido (citosol) presente nelle cellule della pianta.
La nuova pianta hi-tech (2019) fa parte della famiglia dei robot soffici, capaci di adattarsi all’ambiente che li circonda con la sua struttura flessibile. Per allungare i suoi viticci nel modo più efficiente, il robot è stato programmato in modo che i movimenti guidati dall’osmosi non fossero troppo lenti.
La nuova pianta hi-tech (2019) fa parte della famiglia dei robot soffici, capaci di adattarsi all’ambiente che li circonda con la sua struttura flessibile. Per allungare i suoi viticci nel modo più efficiente, il robot è stato programmato in modo che i movimenti guidati dall’osmosi non fossero troppo lenti.E’ inoltre in grado di arrotolarsi e srotolarsi, proprio come fanno le piante. Il suo stelo è un tubo flessibile di Pet, il materiale plastico comunemente utilizzato per conservare gli alimenti; al suo interno scorre un liquido con particelle cariche (ioni). Sfruttando una batteria da 1.3 Volt, gli ioni vengono attirati e immobilizzati sulla superficie di elettrodi flessibili alla base del viticcio che in questo modo fanno arrotolare i viticci. Perché si srotolino è sufficiente rimuovere l’effetto della batteria, sfruttando il circuito elettrico in cui essa è inserita. Tutto però era partito dallo spazio. Prima ancora del progetto Plantoid il team di ricerca aveva collaborato con l’Agenzia spaziale europea (ESA) per un progetto esplorativo. L’idea era quella di sviluppare un robot in grado di atterrare su un pianeta o un asteroide, ancorarsi al terreno e crescere, per poterne analizzare il suolo. Il progetto si è concluso con la pubblicazione di uno studio ma non ha avuto seguito pratico. Almeno finora. Il plantoide fu presentato al Festival internazionale della Robotica a Pisa dal 27 settembre al 3 ottobre 2018, insieme a: l’esoscheletro soffice XoSoft, una specie di pantalone sensorizzato, e il robot Ego, un avatar robotico semi-antropomorfo comandato a distanza, realizzato dall’istituto italiano di Tecnologia di Genova e dal centro ‘Enrico Piaggio’ dell’Università di Pisa. L’esoscheletro è una tecnologia che i ricercatori stanno realizzando per ottenere un sistema robotico vestibile, in grado di assistere persone con disabilità motorie lievi o moderate degli arti inferiori, dovute a patologie legate all’invecchiamento, condizioni congenite o croniche o a infortuni.