Come già da voi esplicato nel precedente articolo in argomento, possiamo confermare un incremento notevole delle truffe relative agli acquisti online con l’avvento della pandemia. Ovviamente, questo fenomeno non si limita all’acquisto di beni o servizi a mezzo web market: molto diffusa è la pratica del phishing (sottrarre furtivamente i dati personali degli utenti), come anche lo smishing (sms fraudolenti, che inducono gli utenti a seguire istruzioni fittizie, come ritiro pacchi o sblocco della carta di credito). Ancora, troviamo il catfishing, le cosiddette truffe a sfondo romantico (adescare utenti su siti di incontri) e, in particolare nel periodo estivo, le sempre più diffuse locazioni brevi (fittizie) di appartamenti destinati all’uso vacanziero. Per concludere, meritano un cenno anche le “finte lotterie” a mezzo telefono o e-mail (ndr: ricordiamo che queste ultime sono da considerarsi valide esclusivamente se certificate da notaio, in veste di banditore, la cui documentazione deve essere a piena disposizione degli utenti partecipanti, previa iscrizione).
Entriamo nel merito del percorso legale che un utente medio, vittima di un illecito, dopo l’eventuale denuncia alle Forze dell’Ordine, può intraprendere sotto tutela di un avvocato. Chiediamo inoltre, alla luce di una maggiore provenienza estera di tali truffe, se la giurisprudenza italiana ha attualmente mezzi e misure per tutelare l’utente offeso.
Di sicuro, come riportato anche nel precedente articolo, ci sono degli interventi preventivi da tenere in considerazione per evitare di imbattersi nel reato di truffa. Il consiglio è sempre quello di accertarsi della provenienza delle fonti e di contattare esclusivamente i canali ufficiali dei Marketplace di riferimento. Nel caso in cui si dovesse subire l’azione di tali truffatori, il primo passo è quello di rivolgersi ad un professionista esperto che possa indicare il percorso, soprattutto ai fini della redazione di una denuncia. Ovvio che il singolo cittadino possa recarsi autonomamente, nel caso delle truffe online, alla Polizia Postale, ad altre Forze dell’Ordine o anche alla Procura della Repubblica del Tribunale locale per sporgere denuncia. L’avvocato, in caso di necessità di un aiuto mirato, è sempre il professionista da tenere in maggiore considerazione, soprattutto in vista dell’iter successivo al completamento delle indagini (procedimento penale). Per rispondere alla seconda domanda, relativa alla provenienza estera dei soggetti autori di tali truffe, si può affermare che, quando gli illeciti avvengono in territorio italiano, restano di competenza dei Fori italiani.
Entrando nello specifico, bisogna evidenziare come il reato di cui si parla va analizzato, ovviamente, in sede penale. La giurisprudenza italiana, in particolare, sulla scorta di una pronuncia della Cassazione del 2019, in chiave di tutela del consumatore, ha anche previsto che questo tipo di azioni potessero coinvolgere, seppur in differente maniera, i cosiddetti hosting (internet service provider – chi crea lo spazio virtuale della vendita, in questo caso). Nell’acquisto di beni o servizi, la legge, soprattutto per la tutela dei dati personali, prevede che questi soggetti attivi (market) debbano effettuare un’opera di vigilanza, di indicizzazione e di valutazione degli utenti che frequentano la piattaforma. Quindi, nel caso di un illecito ai danni di un utente di tali siti, nel conseguente procedimento giudiziario sarà considerato penalmente responsabile l’autore della truffa, mentre a carico del predetto market, in quanto mezzo di contatto con il venditore avente l’onere di tutela dell’utente, classificazione degli iscritti e assistenza in caso di discrepanze o segnalazioni, si potrebbe configurare un’ipotesi di responsabilità civile per violazione degli obblighi di protezione. Questo è sicuramente utile da sapere perché, in caso di procedimento penale, arrivati in giudizio e costituendosi parte civile, la persona offesa potrebbe procedere con una richiesta di risarcimento del danno subìto.
Va rilevato, poi, che, fatta eccezione per l’ipotesi di frode informatica prevista dall’art. 640-ter c.p., nell’attuale codice penale, quando si configura una fattispecie di truffa online intesa come tale, ci si attiene alla generica denominazione del reato di truffa di cui all’art. 640 c.p., il quale, testualmente, viene commesso quando un determinato soggetto, “con l’utilizzo di artifizi o raggiri, induce taluno in errore, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto”. Quindi, la matrice economica nel reato di truffa è una finalità costante, che può essere non specificatamente relativa solo all’acquisto di un bene, ma collegata anche al furto o all’indebito utilizzo di dati sensibili, rappresentando, di certo, una circostanza aggravante in rapporto alle sanzioni previste dal codice stesso.
Quindi, un’azione penale verso lo stesso Marketplace, in caso di persona ignota, è da considerarsi fattibile?
L’azione penale non coinvolge il Marketplace come imputato. Nel settore degli acquisti online, in caso di illecito subìto, è il “venditore”, in quanto persona nota o ignota, a dover essere denunciato. Poi, una volta instauratosi il procedimento penale, sarà l’avvocato a focalizzare l’attenzione anche sulla responsabilità dell’hosting coinvolto. Si tratta, ovviamente, di un percorso non semplice, ma che rappresenta una chiave di volta indicata dalla giurisprudenza. In particolare, quella ascrivibile ai Marketplace è la classica ipotesi di responsabilità civile ex art. 2043 del codice civile (“Risarcimento per fatto illecito”). Da specificare, nuovamente, che l’illecito non è da considerarsi ad opera della piattaforma, ma sempre del soggetto che ne ha tratto un vantaggio (venditore). Ciononostante, la piattaforma è da considerarsi responsabile in merito alla tutela del cliente che la frequenta, per violazione di quegli obblighi di protezione che rientrano nell’ampio concetto di “responsabilità da contatto sociale”.
E nel caso in cui la trattativa dovesse proseguire al di fuori della piattaforma, nonostante il market stesso sconsigli tale procedura?
Anche in tal caso, gli hosting non si possono esimere dagli obblighi di protezione, in quanto garanti della sicurezza e della cernita della clientela, già nelle prime fasi della trattativa. In questo secondo scenario, circuiti come PayPal o market che assicurano il deposito del pagamento e, tenendo conto dei tempi di consegna, lo sbloccano in favore del venditore solo a seguito della valutazione del bene da parte dell’acquirente, sono da considerarsi come uniche strade valide.
Una situazione del genere ha recentemente coinvolto un noto Marketplace in un procedimento penale innanzi al Tribunale di Trani. Tale piattaforma ha probabilmente adottato il metodo da me sopracitato, proprio in seguito a siffatta vicissitudine.
Acconsentire al trattamento dei dati personali, nel momento in cui si effettua l’accesso su qualsiasi sito, ha effettivo valore giuridico?
Adesso, obbligatoriamente per legge, tutti i siti, in sede di accesso, devono richiedere il consenso al trattamento dei dati e fornire all’utente una pagina relativa all’informativa sulla privacy, nella quale specificare le finalità della raccolta dei medesimi e dichiarare il proprio impegno alla loro tutela (ndr: è possibile trovare anche un tutorial completo per la gestione dei cookie sui vari motori di ricerca e un pdf in lingua straniera/inglese riguardante la legge generale sulla privacy – puoi consultare, come esempio, la nostra sezione relativa alla tutela dei dati dei nostri utenti e di te che stai leggendo: https://www.nerderiaincompagnia.it/informativa-sulla-privacy).
Un consiglio, in questo caso, è quello di valutare la possibilità di acconsentire parzialmente alle informazioni richieste dai cosiddetti cookie, cercando di condividere esclusivamente i dati utili alla semplice navigazione. Occhio alle newsletter a fini promozionali che, molte volte, sono ben nascoste durante il processo di iscrizione ad una piattaforma e possono risultare invasive. Con ciò, si può rispondere alla domanda confermando la validità degli stessi, nei limiti imposti dalla legge. Acconsentire al trattamento dei dati personali, da parte dell’utente, non esime comunque la piattaforma dall’impegno di tutela e di responsabilità in caso di truffa o sottrazione/utilizzo indebito dei medesimi.
Ci capita, in tanti gruppi di una determinata nicchia, di vedere post relativi a segnalazione mediante screenshot di chat private, per allertare altri utenti a tutelarsi e tenersi lontani da un individuo in questione, accusato di truffa. Alla luce di una già conosciuta legge che condanna la divulgazione di contenuto di chat privata a terzi, quale limite si ha in questi casi? La tutela di altre persone viene meno dinanzi alla legge sulla privacy, oppure è possibile questa pratica, nel caso di un illecito subìto?
Secondo la legge sulla privacy, cosa probabilmente non nota a tutti, sarebbe da considerarsi vietata l’espressa divulgazione di contenuti di chat private a terzi, in assenza del consenso dell’interessato. Nel caso delle truffe online, se tali chat sono sottoposte ad indagine (ai fini dell’avvio di un procedimento penale), sono coperte dal segreto istruttorio, per cui non ne è consigliabile la diffusione, per quanto positiva possa essere la finalità.
Come da lei detto in precedenza, una dicitura specifica relativa alla truffa online non è ancora presente all’interno del codice penale. Ma possiamo considerarla un’assenza momentanea, oggetto di valutazione da parte degli organi competenti?
Partiamo dal presupposto che questi episodi esistono ormai da anni sul web. La pandemia del 2020 ha incrementato tali fenomeni, ritenendo ancor più necessario, per gli utenti, l’utilizzo di tali piattaforme, nel rispetto del distanziamento sociale (ndr. Anche per questo motivo, abbiamo trovato utile la redazione di questo articolo). Da sempre, per poter inquadrare la truffa online sul piano giuridico, si fa riferimento al reato ex art. 640 c.p., ma si è ancora in attesa di un intervento legislativo ad hoc. Personalmente, mi aspetto un suo prossimo avvento perché si tratta di una fattispecie al passo con i tempi e ritengo sia opportuno configurarla e qualificarla specificamente, in maniera diretta, così da chiarire tutti gli aspetti che la caratterizzano. Mi sento di dire che tale processo non penso sia immediato, data anche l’attuale situazione mondiale relativa alla pandemia, che richiede una maggiore attenzione verso altre questioni. Ciò, però, non deve spaventare, poiché abbiamo abbondantemente visto come la giurisprudenza italiana sia comunque ben preparata nell’inquadrare tali reati, fornendo una tutela completa ed idonea all’utenza.
Nello specifico, cosa rischia chi si macchia di questo reato di truffa?
Quando si configura il reato di truffa, la pena prevista varia dai sei mesi ai tre anni di reclusione, oltre ad una sanzione pecuniaria che va dai 51 ai 1032 euro. Ovviamente, bisogna sempre considerare eventuali circostanze aggravanti o attenuanti: ogni caso è diverso. Ad esempio, quando l’artifizio compiuto produca per il soggetto truffato una situazione di pericolo o un furto di dati personali finalizzato anche, a titolo esemplificativo, alla diffamazione dello stesso (oltre ad altri svariati casi che possono riguardare questa fattispecie), si ha una variazione in aumento dei suddetti anni di reclusione e delle pene pecuniarie annesse. In merito alla condotta del soggetto autore del reato, infatti, si è soliti distinguere eventuali reiterazioni nel tempo da singoli casi isolati. Alcuni, purtroppo, possiamo definirli veri e propri professionisti del settore.
Nel caso in cui decidessimo di intraprendere le vie legali, per un accordo privato che presenta una discrepanza tra la descrizione di un prodotto in vendita e l’effettivo stato dello stesso, quali sono le procedure e i provvedimenti in merito?
Diciamo che qui ci sono diversi fattori da tenere in considerazione. Di certo, ricevere un prodotto danneggiato o che presenti segni di usura non segnalati in ambito di descrizione dello stesso, non configura automaticamente il reato di truffa (inteso some tale) ed è per questo motivo che vanno fatte delle opportune distinzioni. Ovviamente, integrerà il reato di truffa la classica “consegna del mattone” in luogo della vendita di un cellulare. Se, invece, ci si trova innanzi ad un graffio su un prodotto non previamente evidenziato, l’iter da seguire non attiene alla sfera penale, ma sarà ricondotto alle norme contenute del codice civile.
Se ciò avviene nel rapporto tra il singolo utente e un rivenditore, si applica il codice del consumo, il quale prevede che il consumatore venga tutelato dalle garanzie per i vizi attinenti al bene comprato. A seconda del danno rilevato dall’acquirente, si può optare per la riparazione o la sostituzione del medesimo oppure può procedersi con la risoluzione del contratto, ottenendo la restituzione della somma corrisposta al venditore e, conseguentemente, un risarcimento del danno. In alternativa, si può richiedere una riduzione del prezzo, quantificato in relazione al vizio sul bene venduto (specie se di lieve entità).
Di certo, la situazione va sempre ben inquadrata specificamente. Un accordo verbale, che non prevede un annuncio o una descrizione scritta del bene, risulta difficile da contestare. Il venditore può negare eventuali assenze di segnalazione dei vizi del prodotto e disapprovare le istanze di un acquirente: qui ci colleghiamo alla necessità, in caso di acquisto online, di non uscire mai dai confini di una piattaforma che, in primis, vigila sulla validità degli accordi stessi. D’altra parte, nel caso in cui l’intesa avvenga all’interno di uno dei citati circuiti di vendita, con relativa descrizione che non segnali il danno presente, si dà luogo al procedimento prima descritto.
Bisogna anche tener conto, in queste fattispecie, della eventuale responsabilità del soggetto incaricato della consegna del bene venduto. Nel caso in cui, infatti, la spedizione non dovesse andare a buon fine per motivi non legati al comportamento adottato dal venditore, la ditta deputata alla consegna potrebbe esporsi ai rischi di una tipica azione di risarcimento del danno.
Qualora, invece, la responsabilità sia ascrivibile unicamente al venditore e non si raggiunga un previo accordo tra le parti, sarà, a seconda del valore della controversia, un Giudice di Pace o un Tribunale Ordinario a definire giudiziariamente la questione in sede civile.