Chi ha mai sentito parlare di arte crittografica? Ebbene, non c’è una definizione precisa: possiamo però affermare che ha a che fare con le opere d’arte digitali. Nello scrivere questo articolo, per condividere questa nuova conoscenza, non ho trovato un modo preciso di definire la Crypto Art, se non che la medesima è legata alla rete blockchain e alle criptovalute (Bitcoin per intenderci).
Qui potreste già intuire che la crypto art non è una corrente artistica innovativa, ma anzi un nuovo mondo che vuole rinnovare la già esistente arte digitale.
Prima dell’avvento della tecnologia blockchain era quasi impossibile assegnare un valore di mercato alle opere di Crypto Art data la loro facilità di duplicazione e riproduzione.
In soldoni, le opere d’arte vengono pubblicate su una blockchain (una struttura dati condivisa e immutabile) sottoforma di token non fungibili (NFT) che ne certifica virtualmente la proprietà dell’ autore e rende possibile la vendita e il trasferimento crittograficamente sicuro e verificabile. Scendendo in dettaglio, le opere registrate su una blockchain vengono firmate dall’ autore in un processo chiamato di tokenizzazione, dove appunto la suddetta opera riceve un token che ne verifica l’autenticità immettendo: l’ora della creazione, le dimensioni, la tiratura e il track record di eventuali vendite. Ciò rende le opere di crypto art uniche proprio grazie alla registrazione in NFT, ovvero token non fungibili, per ripetere il concetto, come se fossero gettoni non intercambiabili, come succede con i bitcoin che invece sono token fungibili.
Grazie a questo meccanismo, già molti artisti di crypto art, tra cui anche italiani, hanno già messo all’ asta, soprattutto su siti online come ad esempio Opensea, molte loro opere… e guadagnandoci anche parecchio, grazie a collezionisti che vogliono avere l’ esclusiva, nei loro mondi virtuali.
Avete presente l’autore di Nyan Cat? Una delle gif animate più amate creata da Chris Torres nel 2011, è stata venduta all’asta per 300 Ethereum (criptomoneta di riferimento), equivalenti a 590 mila dollari circa.
Avevo menzionato l’ Italia, ebbene il duo Hackatao (cercate su instagram), hanno venduto 546 opere generando transazioni per oltre 6 milioni di dollari. E chi non conosce Andrea Lorenzon in arte Cartoni morti? Anche lui si è cimentato in questo mondo vendendo la sua prima opera su OpenSea chiamata “impressione di uomo nudo con banana su sfera tagliata”.
Insomma, tutto molto bello, ma c’è un problema legato alla blockchain e al suo impatto ambientale.
La recente pubblicazione su Medium della ricerca condotta dall’artista digitale Memo Akten sul costo ecologico dell’industria delle criptovalute ha acceso questo problema.
I processi di creazione degli NFT dipendono dalle capacità di calcolo di migliaia di computer che richiedono un consumo di energia molto più grande rispetto alle attività standard dei server.
Il sistema Crypto, infatti, si basa principalmente sui combustibili fossili, il che comporta un ingente sfruttamento delle risorse minerarie con conseguenti emissioni di Co2.
Si stima che una singola transazione in Ethereum (ETH) abbia un’impronta media di 27,7 kg di Co2: l’equivalente del consumo elettrico di una casa americana nell’arco di due giorni.
Secondo l’analisi di Memo Akten che considera 80 mila transazioni relative a 18 mila NFT venduti sulla piattaforma SuperRare, il consumo energetico medio per transazione è di 82 kWh, pari a 48 kg di Co2.
In media, Akten ha calcolato che la carbon footprint di un singolo NFT su SuperRare è di 211 kg di Co2.
Per dare un’idea, è l’equivalente del consumo di energia elettrica di un cittadino europeo di un mese, dell’utilizzo di un computer portatile per tre anni, di un viaggio in auto di 1000 km, o di un volo da Roma a Londra.
La questione è molto polarizzata sulla questione, e si sta lavorando per cercare di abbattere i costi ecologici di questo mercato.